Dopo altre tre settimane la vidi di nuovo, poiché nei primi due anni di scuola superiore il suo programma alternava tre settimane di lezioni al liceo a una di pratica in fabbrica. Negli ultimi due anni, invece, lo schema cambiava in due settimane di studio e due di pratica. Ovviamente, ogni classe svolgeva la pratica nel proprio settore di specializzazione. Ad esempio, gli studenti delle classi meccaniche, come era prassi, facevano la loro pratica nella nostra fabbrica, ma specificatamente nell’Officina Meccanica.
Le studentesse del profilo Tessile, invece, svolgevano la loro pratica scolastica nei settori della Filatura o della Tessitura. A mio avviso, questo sistema si dimostrava un metodo estremamente efficace per preparare e specializzare gli studenti, i quali, una volta conclusi gli studi superiori e superato l’esame di maturità, ricevevano una qualifica professionale e, quasi immediatamente, un impiego nel loro campo di specializzazione. Durante gli anni di pratica, gli studenti imparavano un mestiere direttamente sul posto di lavoro, familiarizzando con macchinari, tecnologie e procedure che avrebbero poi applicato una volta assunti. Già pronti per inserirsi nel mondo del lavoro come operai specializzati, rappresentavano un grande vantaggio per tutti: per gli studenti stessi, per la scuola, per l’azienda e per l’intera società. Questo era stato anche il mio percorso scolastico, simile a quello di Mirela, sebbene io l’avessi intrapreso qualche anno prima.
Tuttavia, ritornando a noi, si potrebbe pensare che lavorare sempre circondato da tante giovani e belle ragazze fosse meraviglioso. E in parte lo era: per un giovane di vent’anni, ventuno, ventidue, era certamente piacevole, ma dall’altra parte complicava un po’ le cose. Alcune ragazze mi piacevano, altre no; a alcune piacevo, ad altre no – situazioni del tutto normali per quell’età, considerando anche che le studentesse praticanti avevano dai sedici ai diciannove anni, mentre quelle già assunte erano leggermente più grandi.
Chi non ha vissuto questo tipo di esperienze? Penso tutti. Dopo quel primo incontro con Mirela, ci fu un periodo in cui ci si incrociava di sfuggita durante gli orari di lavoro, mentre lei faceva la pratica scolastica; rivederla mi faceva piacere e tra noi era nata una simpatia, ma niente di più.
Il tempo passava e ognuno di noi aveva la sua vita personale. Negli anni successivi, la mia vita fu estremamente frenetica e ricca di esperienze, tra lavoro, passioni e attività varie. Ho avuto alcune simpatie, amicizie e storie d’amore, ma nessuna di queste mi ha mai fatto considerare l’idea di fermarmi e cambiare il mio stile di vita. Si può dire che “andavo a cento all’ora”. Non sentivo mai la stanchezza, mi piaceva, mi divertivo un mondo e tutto procedeva alla grande.
Non intendo dilungarmi troppo. Durante quegli anni, ho visto molte ragazze passare attraverso il nostro reparto, e molte di loro, una volta terminate le scuole superiori, sono state assunte nella fabbrica. Tra le ragazze che avevano catturato la mia attenzione c’era anche Mirela, la ragazza che in seguito sarebbe diventata mia moglie. Era una ragazza carina e semplice, che non cercava di mettersi in mostra e che si dedicava con impegno alle sue ore di pratica. Tuttavia, in quel periodo, mi sembrava un po’ troppo “giovane” per me. Durante i 2-3 anni in cui faceva la pratica scolastica, dopo qualche sorriso e qualche battuta, era nata una simpatia reciproca.
Il tempo è passato. Dopo il suo diploma, Mirela fece domanda per lavorare in azienda e fu subito assunta; inizialmente in un reparto vicino al mio. Ci incontravamo occasionalmente all’uscita dal lavoro o durante i miei spostamenti tra i vari reparti. Ma per i primi tempi, non successe nulla di significativo.
Dopo qualche mese, eccola di nuovo nel mio reparto; era tornata a lavorare proprio sulle macchine per le quali avevo la responsabilità della manutenzione, le stesse su cui aveva fatto pratica durante il liceo. Aveva ottenuto il trasferimento grazie all’intervento di suo padre, che era andato direttamente in direzione a chiederlo per lei. Inoltre, nel nostro reparto lavorava già suo fratello, Mirel, il gemello di Mirela.
Mi fece piacere rivederla lì, e quando lei faceva il primo turno, ci incontravamo più frequentemente dato che ora lavorava a tempo pieno. Ci salutavamo, scambiavamo qualche sorriso, e la vita proseguiva. In quel periodo, avevo già una ragazza, ero in una relazione, e anche lei aveva la sua vita personale. Tutto normale. E poi, non potevo insistere. In quel contesto, tutti ci conoscevano; lei sapeva della mia situazione sentimentale, conosceva i dettagli della mia vita. Sul lavoro, nella fabbrica, nella nostra città ci conoscevamo praticamente tutti. E questa non era una cosa da poco.
Quando qualcuno voleva sapere qualcosa su qualcun altro, bastava chiedere agli amici o alle conoscenze. Tutti sapevano tutto di tutti. Nella nostra piccola città, il passaparola funzionava alla perfezione.
Così sono passati diversi mesi, ci si rivedeva ogni tre settimane quando a lei toccava il turno di mattina. Un sorriso, una battuta di sfugita. Sentivo che tra di noi era nata una simpatia, una cosa che mi incuriosiva sempre di più. Ho chiesto informazioni su di lei, tutte molto positive, che confermavano l’immagine che mi ero fatto: aveva una vita molto più “tranquilla” della mia, era riservata, sempre per conto suo, carina, educata, rispettosa, tra lavoro e casa.
Ho cominciato a conoscerla meglio, ci vedevamo più spesso, in quell’immenso reparto che conteneva 120-130 macchinari, trovavo sempre un motivo per passare vicino alle 4 macchine su cui lavorava lei. Ormai i nostri colleghi avevano intuito che tra di noi era nata una simpatia.
Ma tutto finiva lì. Lei non avrebbe mai accettato di iniziare una relazione, né di vederci nel tempo libero in quella situazione. Sapeva che avevo già una fidanzata.
Un altro anno è passato, o quasi. C’è un detto dalle nostre parti che dice: “Ciò che è tuo, è messo da parte”.
Ed è vero!
Quel lunedì mattina, mentre prendevo in consegna un macchinario per revisionarlo, ho iniziato a scambiare qualche parola con la persona che vi lavorava. L’operaia, evidentemente sollevata, commentò che nei due giorni necessari per la riparazione avrebbe dovuto gestire solo tre macchine anziché quattro. Era una figura molto rispettata nel nostro reparto, la conoscevo da anni; lavorava lì da oltre due decenni e, per di più, era la moglie del capo reparto.
Durante la conversazione, mi chiese improvvisamente cosa pensassi di Mirela. Ormai erano diventate amiche oltre che colleghe; Mirela lavorava su altre quattro macchine non troppo distanti da lì, durante lo stesso turno. Rimasi un po’ sorpreso dalla domanda; nei nostri scambi degli anni passati non avevamo mai toccato argomenti così personali. Tuttavia, le confidai che la trovavo carina e simpatica.
Allora, con un sorriso, mi suggerì: “Guarda Nelu, anche tu piaci a Mirela. Perché non le chiedi di vedervi nel tempo libero, per conoscervi meglio?” Non sapevo se la signora fosse a conoscenza della mia situazione sentimentale in quel momento… In effetti, erano trascorsi quasi sei mesi da quando una relazione di lunga durata si era conclusa piuttosto male, lasciandomi alcune cicatrici interiori. Era questo il motivo per cui non avevo più intrapreso relazioni serie di recente.
Forse fu una semplice coincidenza, ma doveva accadere così. In quel momento non risposi, avevo bisogno di tempo per riflettere e prendere una decisione. Dopotutto, le questioni del cuore non sono mai semplici.
Forse era arrivato il momento di reagire, e quel consiglio fu lo stimolo che mi serviva per decidere. Sì, fu proprio quel suggerimento, arrivato al momento giusto, a darmi la spinta necessaria. Quella settimana la passai a riflettere e alla fine decisi di fare un tentativo. Dopo tutto, erano trascorsi più di cinque anni da quando l’avevo vista per la prima volta. Decisi di chiederle di uscire con me e, perché no, trasformare la nostra semplice conoscenza e la simpatia reciproca in qualcosa di più significativo.
Così, fatto sta che due settimane dopo, quando a Mirela toccò il primo turno, trovai un pretesto per passare dalla parte del reparto dove lavorava lei. Ci salutammo e, con un sorriso, iniziai una chiacchierata; durante quella settimana trovai sempre l’occasione per parlare un po’ con lei, cercando ovviamente di non attirare troppo l’attenzione; i nostri responsabili erano sempre nei paraggi durante il lavoro.
Alla fine di quella settimana, le chiesi semplicemente se fosse possibile vederci il sabato sera. Lei rispose di sì, anche perché si aspettava la mia proposta; la sua collega e amica, la signora che mi aveva dato il suggerimento, le aveva raccontato tutto subito dopo.
Ci incontrammo quel sabato sera. Andai a prenderla a casa sua, facemmo lunghe passeggiate, parlammo e scherzammo, e poi la riaccompagnai a casa. A quei tempi, c’erano certe regole e orari da rispettare, e i suoi genitori erano piuttosto esigenti.
Dopo poco più di un mese, ci fidanzammo e, dopo un altro anno e mezzo, ci sposammo. Tutte le coppie ricordano con piacere la loro storia d’amore. La nostra bella storia, unica e irripetibile, come tutte le altre, è stata un po’ diversa dal solito. Non è stato un “amore a prima vista”, non c’è stato un “colpo di fulmine” e non era nemmeno un amore nato “tra i banchi di scuola”.
La nostra è stata una storia normale, che credo abbia avuto inizio nel momento in cui i nostri sguardi si incrociarono per la prima volta. Dopo diversi anni, quella connessione si è trasformata in una vera storia d’amore. Noi abbiamo costruito la nostra storia, giorno per giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, finché quel piccolo germoglio nato anni prima da un semplice sguardo è cresciuto e sbocciato in un bel fiore, trasformando la nostra simpatia reciproca in un vero amore condiviso. Un amore che, successivamente, ci ha portati al matrimonio.
Non avrei mai immaginato che la ragazza carina che avevo intravisto quella mattina tra i macchinari del reparto, dove lavoravo già da qualche anno, la ragazza riservata che evitava il mio sguardo e arrossiva ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano—una tra le decine di ragazze che avevano fatto la pratica scolastica in quel settore—qualche anno dopo, sarebbe diventata mia moglie, la madre di nostro figlio, e che insieme avremmo vissuto e affrontato tante situazioni, alcune anche difficili.
In questi oltre 32 anni di matrimonio, abbiamo affrontato numerose situazioni difficili. All’inizio non sapevamo cosa ci avrebbe riservato il futuro e, nonostante ne avessimo parlato insieme, non è stato semplice gestire le difficoltà che la vita ci ha presentato. Abbiamo imparato a sostenerci a vicenda, a confrontarci con i problemi, a volte stringendo i denti e lottando con tenacia per superare le sfide che la distanza, seguita dalla mia partenza per l’Italia, ci ha imposto.
La lontananza per una giovane coppia rappresenta una grande prova, un esame complesso che richiede un impegno costante: amore e pazienza, fiducia reciproca, rispetto e spirito di sacrificio, impegno e fatica, comprensione e condivisione di un sogno comune. E il dialogo, senza il quale non si può costruire nulla di solido.
Il dialogo è stato senza dubbio il nostro punto di forza, ciò che ci ha permesso di andare avanti; e non parlo solo degli inizi del nostro matrimonio, ma dell’intera vita che abbiamo vissuto insieme. Anche ora, dopo tanti anni di matrimonio, l’amore, il rispetto, la fiducia, i valori morali e spirituali, il dialogo, la comprensione e il sostegno reciproco rimangono i pilastri su cui si fonda la nostra unione, i valori che ci aiutano a proteggere, difendere e continuare il nostro cammino insieme.
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